Saluto con nostalgia il 2011, l’anno che passerà alla storia per l’ondata d’indignazione e protesta che l’ha attraversato da gennaio a dicembre, da nord a sud, da est a ovest. Dalla Tunisia di Mohammed Bouaziz, che si è dato fuoco accendendo a sua insaputa una miccia che non si è ancora spenta, alle strade di Wall Street, il mondo è stato scosso da chi si è sentito stanco di soprusi e ingiustizie di ogni genere.
Anche in Angola c’è chi è stanco.
Da gennaio 2011 a oggi Luanda ha registrato sei manifestazioni di protesta. I manifestanti però sono pochi e male organizzati. L’ultima protesta è del 3 dicembre, ma non si sono viste in piazza più di cento persone.
Secondo alcuni analisti locali la mancanza di seguito è dovuta a varie ragioni.
Per il giornalista Carlos Severinos di Africa 21 i motivi sono “dirsi rivoluzionari senza saper indicare un leader o un partito di riferimento”. Inoltre in molti concordano che l’Angola, dopo 36 anni dall’indipendenza, durante i quali ne ha vissuti 27 di guerra e solo 9 di pace, abbinano il concetto di “rivoluzionario” con quello di “instabilità”, “confusione” e “guerra”.
Visto inoltre che nel terzo trimestre del 2012 sono state indette elezioni generali, molti angolani dei partiti di opposizione si domandano “che legittimità hanno queste persone per esigere l’uscita del presidente?”. “Se non sono d’accordo con lui si organizzassero per votare contro il suo partito, l’MPLA nelle prossime elezioni”.
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