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La centralidade di Kilamba Kiaxi a Luanda costruita dei cinesi in cambio di petrolio |
Sul dominio cinese nel mondo pubblica allarmato Atalsweb, rivista online di politica internazionale:
"Con l’acquisto di aziende, sfruttando le risorse naturali, la costruzione di infrastrutture e dando prestiti a tutto il mondo, la Cina sta perseguendo una forma morbida ma inarrestabile di dominio economico. Le risorse finanziarie sostanzialmente illimitate di Pechino consentono al paese di essere una forza in grado di cambiare le regole del gioco sia nel mondo sviluppato che in quello in via di sviluppo; una situazione che minaccia di cancellare la competitività delle imprese occidentali, uccidere i posti di lavoro in Europa e in America ma anche di far dimenticare gli abusi sui diritti umani in Cina”.
Questo dominio è più che evidente in Angola dove già a un primo colpo d'occhio spiccano cantieri targati Cina, fattorie di Tofu, ristoranti con lanterne rosse e tanti, tanti cinesi costantemente al lavoro.
"Sono bastati 14 anni alla Cina per diventare la prima potenza commerciale del pianeta - scrive Carlos Pinto Santos dalle pagine del mensile Africa21 - Nel 2009 ha raggiunto il posto di primo partner economico dell'Africa e secondo dell'America latina".
Secondo dati recenti il commercio cino-africano ha raggiunto la cifra straordinaria di 200 mila milioni di dollari. Solo 3 anni fa questa cifra raggiungeva i 10 mila milioni.
Il segreto? Elevatissime riserve finanziarie e imprese, sia pubbliche che private, che esportano mano d'opera più o meno qualificata verso l'Africa.
La politica del "going out", inaugurata con estrema lungimiranza dal Presidente cinese Jang Zemin nel 1999, ha fatto delle Cina una delle prime potenze commerciali al mondo.
La vecchia Europa, spaventata e arrancante, lontana dai tassi di crescita di Africa e America latina, parla di "nuovo imperialismo" e, forse giustamente, si preoccupa di questa potenza "predatrice" pericolosa per la democrazia, i diritti umani e l'ambiente. Ma l'Africa, piena di Paesi non più "in via di sviluppo" ma in via di forte crescita, si domanda perché non dovrebbe fare ricorso agli investimenti cinesi, in cambio delle sue materie prime, per recuperare il suo ritardo e il suo deficit di infrastrutture?
E' questo il sistema: infrastrutture contro petrolio. Almeno in Paesi come la Nigeria e l'Angola.
In quest'ultima in particolare la Cina dal 2005 ha investito circa 6 milioni e mezzo di dollari, di cui 5 milioni nel settore immobiliare con la costruzione delle famose "centralidade". Si tratta di città satellite che il Presidente Dos Santos presenta come le nuove case per il popolo. Interi quartieri di palazzi alti 10 piani a trenta chilometri dal centro città. La centralidade di Kilamba Kilaxi, dove oggi stanno andando i cittadini "sfrattati" dalle baracche del centro città, è costata ufficialmente 3,5 milioni di dollari, tutti sborsati dalla Cina in cambio di petrolio angolano.
Solo nello scorso mese di maggio l'Angola ha esportato 1.83 milioni di barili di petrolio al giorno. Metà di questo petrolio è esportato verso la Cina.
Ancora la Cina è il primo partner commerciale dell' Africa dal 2011, davanti a Francia e Stati Uniti. Secondo dati ufficiali diffusi dal governo cinese sempre nel 2011 erano 160 mila i cinesi residenti in Africa, ma fonti ufficiose sul territorio africano parlano di altre cifre, comprese fra 600 mila e 1 milione di cinesi in Africa.
Non a caso il nuovo presidente cinese Xi Jinping ha scelto l'Africa come primo continente da visitare, lo scorso aprile, dopo l'incarico ricevuto, per spiegare le grandi linee della strategia economica cinese per i prossimi dieci anni. L'ha fatto passando per la Tanzania e finendo a Brazaville.
Un'amore quello cino-africano ben spiegato da una economista dello Zambia, Dambisa Moyo, che in un suo libro del 2009 dal titolo " Dead Aid: why aid is not working - There is another way for Africa", da all'Europa e agli Stati Uniti una bella lezione sull'etica degli aiuti.
"La Cina - spiega la giovane donna - vuole la precedenza nell'accesso alle risorse minerarie e alle materie nei paesi in cui queste sono abbondanti, come in Africa. Per questo - continua - promuove l'entrata di capitali nel continente - prestiti e investimenti in infrastrutture. Questo - scrive l'economista africana - stimola il commercio, l'imprenditorialità, crea posti di lavoro e promuove la competitività".
In poche parole per gli africani il modello cinese offre alle loro economie opportunità reali di crescita che il sistema degli aiuti all'Africa non è mai riuscita a creare. Far parte dell'economia globale e diventarne motore è una cosa nuova per l'Africa continente che, da sempre predato, ora sta diventando predatore!