E' passato poco più di un anno
dall'inizio della rivoluzione libica e sei mesi dalla sua conclusione. La Libia
oggi è un Paese libero da una dittatura durata 42 anni. Ho chiesto a chi ha
avuto modo di vivere il regime, la rivoluzione e ora la ritrovata indipendenza,
cosa è diventata la Libia oggi, che aria si respira, quali speranze si vivono.
Mi hanno risposto direttamente il Vescovo di Tripoli, Mons. Giovanni
Martinelli, il responsabile del Cir Libia (Consiglio italiano per i rifugiati) Gino Barsella e indirettamente l'ex
direttore della Scuola francese di Tripoli, Dominique Aimon.
Il vescovo di Tripoli, Mons. Giovanni Martinelli, libico italiano o italiano
divenuto libico, amico di Muammar Gheddafi, come si può essere amici di un
dittatore che però aveva dato alla Chiesa la possibilità di esserci in Libia,
oggi mi racconta così la sua ritrovata Libia.
"La primavera araba ha
attraversato la Libia a partire dal 17 febbraio 2011, una data che segnerà la
nostra storia. Abbiamo vissuto un anno di sogni e di speranza per una
rinascita, ma anche mesi di guerra che ha seminato morte, lutti, perdite,
odio. Il paese ha prima
ottenuto la liberazione della regione di Bengasi e poi si è
arrivati alla cattura di Gheddafi, nel mese di ottobre, che ha permesso la
proclamazione della "Libia libera."
La sua nuova bandiera sventola
in tutto il mondo, lo slogan "evviva la Libia" ha segnato molte
celebrazioni, feste, raduni di ogni genere, le persone erano ricolme di gioia,
entusiasmo e i "martiri" di questa rinascita sono stati tutti onorati
e i loro genitori hanno avuto il riconoscimento della "haj" come una consolazione. Tutti si aspettavano
il nuovo, che è arrivato veloce, molto veloce!
Oggi la vita è tornata
quasi normale: lentamente si sono riavviate le amministrazioni. Il post riprenderà lentamente, i bambini hanno ripreso ad
andare a scuola (molto tardi), il commercio sembra funzionare bene, il servizio
postale è ripartito ...
Eppure, la tanto attesa
felicità non è così ovvia: ci si lamenta che il governo non sa o non può agire
più rapidamente come si vorrebbe, non c'è sicurezza, molta gente non è in grado
di tornare al proprio ambiente normale dopo aver combattuto.
"Pazienza - alcuni dicono
- non è possibile ricostruire un paese in pochi mesi", ci vorrà del tempo,
non si può cancellare il dolore e l'odio, la divisione e lo spirito di vendetta
proposto dalla guerra, dalla retorica ... Altri indulgono nel rimpianto del
vecchio regime ...
Nel complesso, il paese non è
ancora pacificato. Ci sono focolai di dissenso e di lotta, anche armata, a
volte in quartieri della città, a volte in aree che non hanno vinto nulla dopo
la fine della rivolta (Seba, per esempio, una regione di "frontiera e di
traffici").
Allo stesso tempo possiamo dire
che i libici sono orgogliosi della loro rivoluzione e anche se un po' delusi
sul dopo sono però pieni di speranza!
Gino Barsella l'ho incontrato a
Tripoli un giorno del 2009 quando storie di individui legate alle tragedie del
mare e dei respingimenti mi spinsero a cercarlo per farmi spiegare alcune
dinamiche. Uno dei pochi europei ammessi a visitare le prigioni libiche ai
tempi del regime, Gino mi racconta così la Libia che ha rivisto dopo la
battaglia.
"Tripoli è sicura di giorno
ma la notte si deve stare a casa. E' difficile fare un cammino di democrazia
per chi non l'ha mai avuto. La notte si spara per avere un pezzo di torta più
grosso o semplicemente per rubare, tutti hanno armi. Il governo fa del suo
meglio? Presto ci saranno delle libere elezioni, ma la strada è ancora lunga.
Turismo? Meglio aspettare.
Tripoli è sporca, per
mancanza di forza lavoro, (quei migranti mezzo schiavi che prima utilizzava
Gheddafi) e tutti i cantieri sono fermi... C'è ancora molta strada da fare.
Grossi segni di guerra non ce ne sono in città, eccetto per la fortezza di Bab
el Aziziya".
Chiudo con una frase di
Dominique Aimon, ex preside della Scuola francese di Tripoli, abituato a stare
in mezzo ai giovani libici costretti dal regime a reprimere ogni loro afflato
libertario e in contatto con la lenta burocrazia di un sistema statico, di
ritorno da una missione a Tripoli.
Tralascio in questo pezzo i timori per l'arrivo di Al Quaeda, sono già in tanti ad averli così preferisco guardare in positivo. Essendo questo il mio blog e non il giornale di qualcuno mi permetto di dire che voglio credere nei miei amici libici e nella loro forza di costruire una nuova Libia libera e democratica.
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