martedì 17 aprile 2012

LIBIA ORA! Cosa è cambiato a sei mesi dalla fine della rivoluzione


E' passato poco più di un anno dall'inizio della rivoluzione libica e sei mesi dalla sua conclusione. La Libia oggi è un Paese libero da una dittatura durata 42 anni. Ho chiesto a chi ha avuto modo di vivere il regime, la rivoluzione e ora la ritrovata indipendenza, cosa è diventata la Libia oggi, che aria si respira, quali speranze si vivono. Mi hanno risposto direttamente il Vescovo di Tripoli, Mons. Giovanni Martinelli, il responsabile del Cir Libia (Consiglio italiano per i rifugiati)  Gino Barsella e indirettamente l'ex direttore della Scuola francese di Tripoli, Dominique Aimon.
 

Il vescovo di Tripoli, Mons. Giovanni Martinelli, libico italiano o italiano divenuto libico, amico di Muammar Gheddafi, come si può essere amici di un dittatore che però aveva dato alla Chiesa la possibilità di esserci in Libia, oggi mi racconta così la sua ritrovata Libia.

"La primavera araba ha attraversato la Libia a partire dal 17 febbraio 2011, una data che segnerà la nostra storia. Abbiamo vissuto un anno di sogni e di speranza per una rinascita, ma anche mesi di guerra che ha seminato morte, lutti, perdite, odio. Il paese ha prima ottenuto la liberazione della regione di Bengasi e poi si è arrivati alla cattura di Gheddafi, nel mese di ottobre, che ha permesso la proclamazione della "Libia libera."

La sua nuova bandiera sventola in tutto il mondo, lo slogan "evviva la Libia" ha segnato molte celebrazioni, feste, raduni di ogni genere, le persone erano ricolme di gioia, entusiasmo e i "martiri" di questa rinascita sono stati tutti onorati e i loro genitori hanno avuto il riconoscimento della  "haj" come una consolazione. Tutti si aspettavano il nuovo, che è arrivato veloce, molto veloce!

Oggi la vita è tornata quasi normale: lentamente si sono riavviate le amministrazioni. Il post riprenderà lentamente, i bambini hanno ripreso ad andare a scuola (molto tardi), il commercio sembra funzionare bene, il servizio postale è ripartito ...

Eppure, la tanto attesa felicità non è così ovvia: ci si lamenta che il governo non sa o non può agire più rapidamente come si vorrebbe, non c'è sicurezza, molta gente non è in grado di tornare al proprio ambiente normale dopo aver combattuto.

"Pazienza - alcuni dicono - non è possibile ricostruire un paese in pochi mesi", ci vorrà del tempo, non si può cancellare il dolore e l'odio, la divisione e lo spirito di vendetta proposto dalla guerra, dalla retorica ... Altri indulgono nel rimpianto del vecchio regime ...

Nel complesso, il paese non è ancora pacificato. Ci sono focolai di dissenso e di lotta, anche armata, a volte in quartieri della città, a volte in aree che non hanno vinto nulla dopo la fine della rivolta (Seba, per esempio, una regione di "frontiera e di traffici").

Allo stesso tempo possiamo dire che i libici sono orgogliosi della loro rivoluzione e anche se un po' delusi sul dopo sono però pieni di speranza!


Gino Barsella l'ho incontrato a Tripoli un giorno del 2009 quando storie di individui legate alle tragedie del mare e dei respingimenti mi spinsero a cercarlo per farmi spiegare alcune dinamiche. Uno dei pochi europei ammessi a visitare le prigioni libiche ai tempi del regime, Gino mi racconta così la Libia che ha rivisto dopo la battaglia.

"Tripoli è sicura di giorno ma la notte si deve stare a casa. E' difficile fare un cammino di democrazia per chi non l'ha mai avuto. La notte si spara per avere un pezzo di torta più grosso o semplicemente per rubare, tutti hanno armi. Il governo fa del suo meglio? Presto ci saranno delle libere elezioni, ma la strada è ancora lunga.
Turismo? Meglio aspettare.

Tripoli è sporca, per mancanza di forza lavoro, (quei migranti mezzo schiavi che prima utilizzava Gheddafi) e tutti i cantieri sono fermi... C'è ancora molta strada da fare. Grossi segni di guerra non ce ne sono in città, eccetto per la fortezza di Bab el Aziziya".

Chiudo con una frase di Dominique Aimon, ex preside della Scuola francese di Tripoli, abituato a stare in mezzo ai giovani libici costretti dal regime a reprimere ogni loro afflato libertario e in contatto con la lenta burocrazia di un sistema statico, di ritorno da una missione a Tripoli.

"La vita sta crescendo sulle rovine della vecchia dittatura! Persone molto motivate stanno arrivando da tutte le parti del mondo per ricostruire, è un momento eccitante. LIBIA ORA!"


Tralascio in questo pezzo i timori per l'arrivo di Al Quaeda, sono già in tanti ad averli così preferisco guardare in positivo. Essendo questo il mio blog e non il giornale di qualcuno mi permetto di dire che voglio credere nei miei amici libici e nella loro forza di costruire una nuova Libia libera e democratica. 

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