Mentre il cacimbo, la stagione secca che dura da
maggio a fine agosto sta per finire, l’Angola lancia la sua campagna
elettorale. Trenta giorni per convincere il popolo a votare uno dei cinque
partiti scesi in campo o una delle quattro coalizioni. Il capolista del partito
o della coalizione che avrà raccolto più voti sarà il nuovo presidente, come
dettano le nuove regole elettorali introdotte da una recente revisione
costituzionale.
I due principali partiti del
Paese, l’MPLA, e l’Unita, hanno scelto di dare avvio alla loro campagna
elettorale in una cittadona satellite di Luanda, Viana, da cui ogni giorno
scendono verso la città decine di migliaia di individui appartenenti a un ceto
sociale che è sulla soglia della povertà.
Il target dunque, per
l’attuale presidente, Josè Eduardo Dos Santos, come per il suo rivale Isaias Samakuva, appare essere proprio quella larga fetta di popolazione che non è ancora parte del
sistema, non avendo incarichi pubblici e non essendo impiegata in alcuna
azienda, ma che tiene in piedi il Paese con la pratica dell’”economia
informale”.
Si tratta di elettori che
non godono dei privilegi di una elite cresciuta nel benessere conferito
dall’estrazione di diamanti, gas e petrolio. Sono persone che, in una città
considerata da uno studio della Mercer Consulting, la seconda più cara al mondo
dopo Tokyo, legano la loro sopravvivenza quotidiana proprio a questa pratica.
Scambio di merci, raccolta,
trasporto e vendita delle taniche d’acqua, che non è corrente, vendita al pezzo
di generi alimentari, vendita di prodotti agricoli locali in immense piazze e
mercati dove si trascorre la giornata con i figli al seguito.
I programmi sbandierati dai
partiti sono bellissimi, soprattutto quello dell’MPLA che è tutto imperniato
sul “combate a fome e a pobreza”, combattere la fame e la povertà, in effetti
chi meglio dell’MPLA può decidere di farlo? Mi domando solo se queste poche
parole riusciranno davvero a convincere chi di fame e pobreza si nutre tutti i
giorni.
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