“Dalla raiva, la rabbia, possono nascere cose buone”. A dirlo è Muamby
Wassaky uno stilista di moda, pittore, artista plastico angolano che fa parte
di un movimento di giovani che a Luanda cercano attraverso l’arte di esprimere
i loro sentimenti e le loro frustrazioni. Muamby
somiglia a Bob Marley nei tempi d’oro. E’ alto e porta con stile i suoi capelli
rasta, lunghi, annodati dietro la
nuca. Le sue creazioni nascono da un’opera di sperimentazione dove il gusto
della tradizione, le stoffe africane e i nuovi tessuti si incontrano e si
fondono dando vita a pezzi unici.
Muamby non ha un posto dove vendere, ma uno
dove creare si e si chiama Elinga Teatro. Questo posto è una delle fucine più
vibranti per giovani artisti con qualcosa da dire piano o a gran voce, ma
sempre in modo creativo. Musica, danza, teatro, pittura, scultura trovano
all’Elinga un punto di incontro. Inaspettatamente gestito da un consigliere del
Presidente angolano, anch’egli artista, un drammaturgo, questo luogo pieno di
fascino all’interno di un palazzo di epoca coloniale, si trova nel cuore della
città, stretto fra i cantieri delle nuove costruzioni che la stanno strangolando.
La “raiva”, per essere tutti figli
di una eterna guerra civile, per aver perso familiari o pezzi di corpo sopra le
mine, per non avere scuole dove formarsi alla tecnica dell’arte, per non riuscire
a mantenersi con il proprio lavoro, qui trova espressione sui muri, nei murales
dove la protesta si fa leggere e si fa guardare, sul soffitto da cui pendono
impiccati di cartone, dalle opere pittoriche e dalle maschere tradizionali
rivisitate con pezzi arrugginiti di carri armati e ferraglia di guerra…
In questo ambiente ha trovato uno
spazio creativo Muamby. Qui, nel suo atelier di fronte al mare taglia, cuce,
dipinge e si fa conoscere.
La madre voleva che facesse
l’agronomo e lo mandò a studiare a Cuba nel 1974. Quando tornò in Angola nel
1992 era tempo di guerra e nel momento in cui si trattò di fare esperienza sul terreno,
“i campi erano pieni di mine” racconta lui stesso.
Nel 1997, sempre inseguendo i
sogni di sua madre e non ancora il suo, entra nel corpo forestale, ma subito si
rende conto di non essere soddisfatto. Comincia a creare oggetti con le bucce
del cocco. Nell’atelier c’è una borsetta di cocco fatta da lui 15 anni fa, non
è in vendita, gli ricorda da dove ha iniziato. Comprava cocco e faceva
sculture, busti, borse. Andava per strada e raccoglieva materiali buttati via.
Nell’atelier è conservata una porta in vetro dell’Hotel Tropico, completamente
ricoperta di pittura. “Demmo vita a una mostra chiamata “Porte aperte”. Era
l’inizio di questa avventura creativa. Le sue opere si vendevano, così decise
di lasciare del tutto l’agricoltura. Anche nel settore dell’arte però Muamby si
accorge che è molto difficile.
Ci sono artisti “ufficiali” conosciuti e
sponsorizzati dal governo, fare breccia non è facile. E’ da lì che inizia a
cucire, a fare qualcosa di diverso, a creare vestiti, forse ispirato dalla
mamma, sarta, alla quale “ruba” la prima macchina da cucire. E’ il 2001 e lui è
totalmente autodidatta. Nel 2002
fa il primo defilèè di moda e nel 2003 presenta una sfilata a Moda Luanda. E’ un
evento internazionale e vince il premio che lo fa conoscere. Non smette più di
dedicarsi alla moda. Nel 2005 vince un altro premio e oggi è stato ingaggiato
dalla TV privata Zimbo per creare i costumi di una miniserie sulla Rehina
Nzinga, eroina angolana del 1600, che andrà in onda il prossimo anno. Lo
abbiamo intervistato nel suo atelier, che da qui a poco si trasferirà negli studi
televisivi della Zimbo.
La tua arte ti fa sentire libero?
Si, mi piace fare quello che
faccio. Essere artista è essere libero, è sentire questa libertà di esprimersi.
Quali sono state le principali difficoltà incontrate per esprimere la
tua arte.
Molte. Primo, non avere una
formazione nel settore, non avere i materiali per confezionare i vestiti, non
avere accessori. Altro problema è vendere i prodotti. Qui si trovano molti
vestiti già fatti. I miei vestiti sono più cari. Non ho un luogo dove vendere,
ho un posto dove cucire, ma non dove vendere. Le persone non hanno l’abitudine
di comprare cose fatte su misura.
Nel Teatro Elinga i giovani artisti possono esprimere liberamente il
loro dissenso, la loro rabbia?
I giovani hanno sempre qualcosa contro,
il male è quando non possono esprime la loro rabbia. Per me l’Elinga è come un
laboratorio dove tirare fuori quello che si ha dentro.
Qui c’è un gruppo organizzato di
persone. Il direttore di questo spazio è il consigliere del Presidente per i
discorsi. E’ un drammaturgo. Da una parte segue una via istituzionale,
dall’altra usa questo luogo come uno spazio sociologico dove esprimere e far
esprimere.
Io penso che ognuno abbia il suo
modo di esprimersi, ma in molti non vogliono vedere, criticano solo, chiudono
gli occhi di fronte a certe realtà.
Gli artisti con la loro rabbia
portano cose buone, la loro furia è una protesta, per esprimere quello che
hanno dentro, perché le emozioni devono uscire. Le emozioni sono relative,
possono essere buone o cattive ma dipende dal momento.
In Angola questo è un momento di
cambiamento ma ancora c’è un “freno” alla libertà di espressione, ancora le
cose non sono del tutto cambiate.
E’ un momento ancora difficile per
chi vuole esprimersi. Una manifestazione espressiva molto forte non è
accettata, i giovani non vogliono equilibrio, vogliono fare. Ma chi li vuole
“equilibrare” deve capire che i giovani hanno bisogno di un sano equilibrio,
altrimenti la rabbia esplode e non si veicola nel modo giusto.
Di cosa hanno bisogno i giovani angolani oggi?
I giovani devono passare
attraverso una cura, una terapia. Siamo passati attraverso la colonizzazione,
la guerra civile e ora sono solo dieci anni di pace. Come? Con una terapia che
aiuti la mente. La terapia è come far passare la fame. Se non mangi ti senti
debole. Un individuo che è debole nella mente resta debole anche nel corpo. E’
un momento in cui dovrebbero cominciare davvero a fare qualcosa per i giovani.
Se per un giorno potessi essere il Ministro della Cultura cosa faresti
per aiutare i giovani attraverso l’arte?
Li aiuterei a prendere coscienza
del malessere, direi alla gente di rendersi conto che c’è un male, che si sta
male, che occorre vedere la realtà, che non si può nascondere tutto sotto un
ombrello.
L’arte è qualcosa che è
dappertutto, è un’espressione popolare, l’uomo è già un’opera d’arte, l’arte fa
aprire la mente, fa delle proposte, ha la capacità di far ragionare. L’arte aiuta
a comprendere il prossimo.
Muamby poi ci mostra un quadro che definisce come “la mia forma di
esprimere la protesta per come Luanda sta cambiando”. Il quadro rappresenta un
insieme di palazzi alti che non lasciano spazio al cielo e che danno
“difficoltà di respirare” ai cittadini. Una città che sta perdendo la sua
personalità per colpa di persone che non danno importanza all’arte, alla storia
e alla cultura. Con questo quadro Muamby esprime la sua protesta, la sua raiva.
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