venerdì 30 novembre 2012

Angola: allo studio meccanismi di stabilità e pace nell'area



L'Angola si fa portavoce del bisogno di stabilità dell'area in vista di un sempre maggiore sviluppo. Lo fa esprimendo la sua volontà di creare un meccanismo politico e diplomatico in grado di gestire le crisi e i traffici illegali nella zona del Golfo di Guinea e più in generale in tutta l'Africa. 

L'occasione per esprimere questo desiderio è stata la "Conferenza di Luanda sulla pace e la sicurezza nella regione del Golfo di Guinea", durata due giorni, dal 27 al 29 novembre, svoltasi a Luanda fra i Paesi membri della neonata Commissione dei Paesi del Golfo della Guinea. 

La conferenza ha avuto luogo mentre nel Congo orientale la città di Goma era ostaggio delle rivendicazioni del movimento ribelle M23 che, con l'appoggio di Ruanda e Uganda, sta mostrando i muscoli contro l'inetto esercito della RDC, riportando nel caos la regione del Kivu. 

Naturalmente la crisi è stata oggetto di fitte discussioni in Angola fra gli 8 Paesi membri del Golfo di Guinea, che hanno fatto un notevole sforzo diplomatico per creare un meccanismo politico in grado di portare pace e stabilità nell'area, come espresso nella "Dichiarazione di Luanda", firmata nella serata del 29 novembre dai Paesi partecipanti. 

La Dichiarazione riguarda anche altri temi caldi per l'area in questione come, la lotta al traffico della droga, ai flussi di immigrazione clandestina, il contrasto alla pesca illegale, la protezione dell'ecosistema, la lotta alla criminalità organizzata. Il tutto da raggiungere attraverso meccanismi di cooperazione fra nazioni interessate, non solo quelle africane, ma anche con gli stati di transito  o di destinazione dei vari traffici illegali. 



Riguardo alla situazione nella Repubblica Democratica del Congo, nella Dichiarazione di Luanda, emerge che i Paesi dell'area "lavoreranno congiuntamente per applicare una strategia integrata di pace, sicurezza e sviluppo nella regione del Golfo, sia in mare che a terra, a livello di Paesi della CEEAC (Comunità economica dei Paesi dell'Africa Centrale), della CEDEAO (Comunità economica dei Paesi dell'Africa Occidentale) e della Commissione del Golfo di Guinea e in stretta collaborazione con l'Unione europea e le Nazioni Unite. 

Fanno parte della Commissione del Golfo della Guinea, nata lo scorso 3 luglio otto Paesi: Angola, Camerun, Congo, Repubblica Democratica del Congo, Gabon, Guinea equatoriale, Nigeria, Sao Tomé e Principe. 

Questa decisione di creare un meccanismo autonomo e africano per contrastare le crisi della regione fa ben sperare soprattutto alla luce dell'ennesimo "fallimento" delle Nazioni Unite in Africa. 

La missione dei caschi blu Onu nel Kivu, la Monuc, infatti, ben armata e molto costosa per le tasche degli stati membri delle Nazioni Unite, non ha fatto nulla per impedire l'avanzata dei ribelli M23 nel Kivu o per evitare di far salire la tensione dopo 8 mesi di azioni anti-governative.

mercoledì 28 novembre 2012

I ribelli M23 annunciano ritiro da Goma: restano incertezze e paura di una escalation di guerra

Foto RFI, Radio France Internationale

Ci siamo, i ribelli della Repubblica Democratica del Congo lasceranno Goma venerdì. Così si è espresso oggi il leader del movimento M23, generale Sultani Makenga, che dallo scorso 20 novembre ha occupato la più strategica città del Congo, situata al confine con il Rwanda, dopo che le milizie governative si erano ritirate e le truppe Onu sono rimaste sostanzialmente a guardare, come denunciato da testimoni in loco. 

La sua decisione, espressa oggi ai microfoni dell'Afp, segue la richiesta avanzatagli dai governanti dei Paesi limitrofi, riunitisi lo scorso sabato in un summit d'emergenza a Kampala. 

La regione, con questo assalto del gruppo ribelle, è di nuovo a rischio guerra, cosa non nuova nell'area disastrata da 20 anni di battaglie. Il Vertice di Kampala ha chiesto, in una nota inviata al generale ribelle, "di sospendere la guerra e ritirarsi da Goma di almeno 20 chilometri entro 48 ore in cambio di prendere in seria considerazione l'adempimento di alcune richieste - definite - legittime".

Se il generale Makenga accetterà la ritirata, già questo fine settimana la situazione tornerà come prima con il gruppo ribelle posizionato sulla linea di confine fra Ruanda e Uganda, Paesi accusati a livello internazionale di avere sostenuto la ribellione del gruppo M23, anche se loro negano.

Di mantenimento della pace e di messa in sicurezza della zona dei Grandi Laghi si sta parlando anche in Angola, in questi giorni, nel corso di una riunione dei Paesi dell'area dedicata alla prevenzione dei conflitti e alla costruzione di una stabilità nella zona del Golfo della Guinea per rendere più rapida la crescita dei Paesi che ne fanno parte. 

Il Ministro degli esteri angolano, George Chicote, sensibile alla fragile situazione che si sta vivendo in queste ore a Goma, ha espresso subito, in apertura dei lavori della Conferenza in corso a Luanda, la sua preoccupazione per il pericolo di una escalation di guerra nella zona est della Repubblica Democratica del Congo. 

L'insurrezione contro il governo di Kinshasa del gruppo M23 va avanti già da 8 mesi nel silenzio generale della stampa, quella italiana in particolare, e ora, se la ritirata non ci sarà, si teme l'estensione del conflitto ai paesi vicini in una regione segnata da quasi due decenni di conflitto e con un bilancio di più di cinque milioni di morti.

Il Movimento ribelle M23, prende il nome dagli accordi di pace del 23 marzo 2009 che prevedono l'integrazione dei ribelli nell'esercito della RDC. I ribelli presero le armi lo scorso aprile, accusando il presidente congolese, Joseph Kabila, di non aver rispettato i termini dell'accordo.

La RDC inoltre accusa il vicino Ruanda di sostenere la ribellione e orchestrare la rivolta a est per impossessarsi delle ricche risorse della regione, cosa che come noto da Kigali viene negata.

mercoledì 21 novembre 2012

GOMA: l'attacco dei ribelli M23 nelle parole di un missionario


Repubblica Democratica del Congo
Regione dei grandi laghi

Comunicato di Don Piero Gavioli Direttore Salesiano di Goma Ngangi

La situazione a Goma, 19 novembre 2012, 23,10 

Sono di ritorno a Ngangi da stamattina, dopo aver passato cinque giorni a Kigali, dove ho partecipato, con 230 giovani della diocesi di Goma, all’incontro organizzato dalla comunità di Taizé e dalla Chiesa ruandese. Stamattina tutto era calmo, i negozi erano quasi tutti chiusi, idem le scuole, tutta la gente per strada, per aver notizie e sapere cosa fare. Poi ora, alle 14 e 45, sono iniziati gli spari. 
Ci sono scontri tra il gruppo di ribelli chiamati M23 e FARDC (Forze armate della RDC), a qualche km dal nostro Centro giovanile di Ngangi. Abbiamo aperto le porte a varie migliaia di profughi, arrivati da sabato scorso dal campo di Kanyaruchinya. Ufficialmente c'era un cessate il fuoco, ma non è durato. Ci sono tiri di fucile, e anche di mortaio o di cannone, i serbatoi di gasolio vicini all'aeroporto stanno bruciando. Perché? Non so fin dove arriverà la follia degli uomini.
I rifugiati sono sistemati nella nostra grande sala polivalente, nelle classi, in qualche tenda sul terreno di basket. Il governo vorrebbe che andassero tutti a Mugunga (un campo profughi all’altra estremità della città), ma è impossibile, e forse troppo tardi. La maggior parte dei rifugiati sono donne e bambini. La Monusco (Corpo militare delle Nazioni Unite) sta a guardare, in modo scandaloso.
Goma non è occupata, però il governo regionale si è ritirato ieri a Bukavu, c'è la polizia, i soldati ieri erano scappati - per mancanza o incoerenza di ordini - ma sono ritornati sulle loro posizioni ieri notte e ora hanno ripreso a battersi.
Abbiamo il necessario per vivere. Ma se, come stiamo facendo, diamo da mangiare ai profughi, fra poco non avremo più nulla neppure per i nostri interni. Abbiamo avuto acqua dal CICR, con qualche biscotto, e promessa di cibo da parte del PAM. Siamo sostenuti anche da War Child e NRC.
Il personale del Centro è al lavoro, presente e molto generoso, ha fatto il censimento dei nuclei famigliari dei profughi: ci sarebbero circa 2500 “famiglie”, con in media due bambini per famiglia, per un totale di 6 o 7 mila persone. Sono rimasti con noi tre volontari del VIS: Monica è in prima linea, per fortuna è qui con la sua esperienza, e Albino e Carmen con il loro savoir faire per l'acqua e per tutto.
Brutta notizia: stasera ci sono i primi due casi di colera.
Sabato scorso sera ho partecipato alla videoconferenza organizzata dal VIS. Ho detto che bisognerebbe accusare i paesi occidentali di delitto di non assistenza a migliaia di persone in pericolo. Oggi rinnovo l'accusa, anche se cade nel vuoto.
Sara, volontaria che era a Ngangi al momento della guerra del 2008, aggiunge (via Skype, da Haiti, dove si trova): Vanno accusati di non assistenza alla gente e di sostegno militare a tutti i gruppi per mantenere lo stato di disordine e continuare ad aproffitarne. Monica, presente ora a Ngangi, commenta: Nel 2008 non c’erano armi pesanti, non ci sono stati scambi di spari così a lungo. Stiamo andando verso la guerra.
Concludo: Di fronte alla follia degli uomini (al “sonno della ragione”), ci rifugiamo tra le mani del Signore. Sta deviando le pallotole perse: gli abitanti del nostro Centro di Ngangi sono tutti vivi, ieri notte è nato un bambino, figlio di una profuga. Pregate perché il Signore ci dia il coraggio di fare tutto quello che possiamo fare, per questi fratelli e sorelle disperati e rassegnati, per i bambini e i grandi che non capiscono perché.
Dalle 20,15 non si sentivano più spari. Hanno ricominciato alle 22 e 45, e continuano in questo momento.
Piero Gavioli, Ngangi, 19 novembre 2012, 21,30.

lunedì 12 novembre 2012

Pepetela incontra l'Italia e racconta la nuova Angola



Sempre attento ai mutamenti in corso nella vita politica e sociale del suo paese, Pepetela, ancora una volta, nell'incontrare gli italiani a Luanda, lo scorso Venerdì 9 novembre, si è dimostrato lucido osservatore della realtà che lo circonda. 

Artur Carlos Maurício Pestana dos Santos, questo il suo nome completo, è considerato oggi uno dei maggiori scrittori angolani. Nato a Benguela nel 1941, Pepetela ha militato nel Movimento Popular de Libertacao de Angola e ha combattuto per liberare il suo Paese dal colonizzatore. La sua opera, ricca di novelle, romanzi e saggi, appare come frutto della partecipazione attiva di quest'uomo al processo di autodeterminazione culturale e politica del paese.

L'occasione per incontrare gli italiani, nell'ambito della settimana culturale italo-angolana, organizzata dall'Ambasciata italiana a Luanda, è stata la traduzione in italiano del suo romanzo "Jaime Bunda: agente segreto", edito da e/o e magistralmente tradotto da Daniele Petruccioli. Un libro che descrive con ironia e lucidità i difetti e i pregi, pochi per la verità, dell'Angola contemporanea, quella del boom economico, della nuova borghesia arricchita, dell'apparato amministrativo corrotto e incapace. 

Un'Angola descritta con l'ironia e il sarcasmo di un uomo che, lo racconta lui stesso al pubblico riunito nella sede dell'Uea (Unioes dos escritores angolanos), ha scelto di lasciare gli incarichi pubblici quando "ho capito - spiega  - che la libertà di esprimermi e reagire che avevo nello scrivere, non l'avrei mai avuta nella mia vita politica". 

Questa libertà, che si ritrova in molti suoi scritti, il più graffiante di tutti "Os predadores" (I predatori), un romanzo - racconta lui stesso - sulla “nuova borghesia nata in Angola negli ultimi anni, legata agli affari e al potere, abbastanza diversa dalle borghesie europee in quanto la nostra borghesia si è arricchita a spese dello Stato, quindi chi all’interno dello Stato aveva la possibilità di accedere alle ricchezze nazionali le ha utilizzate a fini personali, ebbene questa libertà - ribadisce lo scrittore - è forse eredità di Agostinho Neto", il primo presidente dell'Angola. A questa ultima frase in sala si alza un'ovazione. Appare evidente l'ammirazione che molti angolani ancora nutrono per il primo presidente angolano, scomparso solo dopo 4 anni dal suo incarico, nel 1975. 


In molti altri scritti ricorre questa analisi critica della realtà angolana, in particolare di quella laundese e si riconferma quella libertà nello scrivere che Pepetela dice di avere sempre avuto. "Non c'è libro che in Angola sia stato censurato - spiega Pepetela - le nostre case editrici valutano solo il valore letterario di un'opera". Lo scrittore poi ironizza dicendo al pubblico che "se mai un poliziotto dovesse bussare alla mia porta sarebbe per un autografo e non per arrestarmi". 

La forza della sua scrittura deve avergli dato il coraggio di attraversare i difficilissimi anni della guerra civile e poi quelli della rinascita e della ricostruzione che racconta con coraggio e la sua intelligente ironia in altri libri come il "Desiderio di Kianda" (dei primi anni 90) dove emerge la miseria e l'arroganza di una classe politica (forse comune in molte parti del mondo) che ha perso qualsiasi contatto con la realtà e che pensa esclusivamente ai propri vantaggi e ai propri privilegi. 

Pepetela, noto soprattutto per i suoi romanzi (As aventuras de Ngunga, 1976; Mayombe, 1980, trad. it. 1989; Yaka  1984; O cão e os caluandas, 1985; Luandando, 1990; A Geração da utopia, 1992; O desejo de kianda, 1995; A montanha da água lilás, 2000; Jaime Bunda, agente secreto, 2001; Jaime Bunda e a morte do americano, 2003; Predadores, 2005), è anche autore di testi teatrali: Muana Puó (1978); A corda (1978); A revolta da casa dos ídolos (1980). Nel 1997 gli è stato assegnato il prestigioso premio Camões.


Malgrado questa produzione e i premi ricevuti emerge dalle parole dello scrittore l'amarezzaper la "ghettizzazione" della sua opera e di quella di molti altri scrittori africani, classificati solo come "letteratura africana" - afferma - e non semplicemente come "letteratura". Le ragione sono molte, non ultima quella legata alla traduzione delle sue opere dal portoghese in altre lingue. "L'Angola - spiega Pepetala - è un crocevia fra Africa francofona, anglofona e lusofona dove è difficile trovare opere locali tradotte in altre lingue".

L'Italia, emerge dai dati forniti all'incontro, è il primo Paese per traduzione di libri della letteratura angolana. Un merito che ci fa onore perché negli scritti di uomini come Pepetela non c'è solo il racconto di una nazione o di un popolo, ma della stessa natura umana, raccontata con la maestria di chi sa guardare oltre le apparenze.

Alla domanda su cosa verterà la sua prossima opera, Pepetela risponde stanco "lo saprò solo quando sarò fuggito da Luanda, città che non conosco più e quando avrò trovato un luogo dove nascondermi e pensare in pace". 




martedì 6 novembre 2012

Piove su Luanda e la città si allaga



Piove sull'Angola per la prima volta seriamente da un anno a questa parte. Soprattutto piove su Luanda dove di acqua se ne è vista davvero poca negli ultimi mesi. Piove per una sola notte e la città si sveglia al mattino completamente allagata. 

Bagnate le strade asfaltate, inondate le strade sterrate, trasformati in piscine di fango gli slarghi nei quartieri poveri, allagate le quadre sportive sulla Nova Marginal, il bel lungo mare inaugurato dal Presidente Dos Santos il giorno prima delle passate elezioni e costata al Paese 360 milioni di dollari. 

La città non regge alla pioggia e al mattino il traffico è dimezzato. "Sono tutti in casa a svuotare i cortili e le stanze dall'acqua", spiega un autista. Percorrendo la lunga arteria che da Luanda Sud porta al quartiere di Sambizanga, a Nord, non c'è strada o viottolo o incrocio che non sia inondato. 

Le case della povera gente, baracche o poco più, hanno le porticine aperte e le donne tirano l'acqua con secchi dai loro cortili verso il centro della strada. I bambini nuotano nel fango, divertiti. Le venditrici ambulanti espongono i loro prodotti su banchetti di fortuna che affondano le gambe nell'acqua.

Alla Radio Nacional un politico locale parla della  seconda fase di un processo di riqualificazione del quartiere di Sambizanga che avrà inizio nel 2013, dato che la prima fase, iniziata nel novembre del 2011, è già conclusa e "i frutti sono sotto gli occhi di tutti". Guardo fuori dal finestrino e sono proprio a Sambizanga. 

L'intervistato alla radio continua dicendo "abbiamo concluso i lavori di installazione delle strutture tecniche, le fognature, la rete elettrica, le canalizzazioni dell'acqua". Guardo fuori e vedo un fiume dove prima c'era una strada. Riguardo e vedo solo acqua e fango, una donna che avanza con un gesso alla gamba, immerso nell'acqua, un paio di bambini con gli stivali di gomma, una ragazza che svuota un secchio, tante baracche e un cane randagio.  

Ancora non ho capito se la città di cui parla la radio di stato sia la stessa di questa gente allagata.