domenica 1 luglio 2012

L'Africa e le donne: quando il problema è la fistula ostetrica

Campus di Damba - donne in attesa di essere operate
Si fanno tanti figli in Africa. E’ un fatto legato all’accettazione sociale. Una donna senza figli o con un figlio unico è meno temuta, rispettata, approvata. Avere molti figli, anche da padri diversi, anche se si è così poveri da temere di non riuscire a mettere insieme un pasto completo al giorno, è l’unico modo per trovare il proprio posto nel consesso umano, per non farsi parlare dietro, per farsi riconoscere come delle vere donne, fertili, abbondanti, forti.Tutto questo però ha delle conseguenze, tante, così tante che diventa difficile sviscerarle in un solo post, perciò mi limiterò a una di esse: la fistula ostetrica.
Si tratta di una conseguenza devastante dovuta a parti con complicanze. Come dire qualcosa che qui accade una volta su due perché quando si partorisce in casa, spesso capanne senza letti, le complicazioni sono all’ordine del giorno. La prima conseguenza di questa problematica è l’incontinenza urinaria, qualcosa che pur non mettendo a rischio di vita, marginalizza, esclude, allontana, per questo le donne vengono abbandonate dai mariti, sono costrette a nascondersi negli ultimi banchi delle Chiese, restano chiuse in casa.

Personale dell'Unfpa di Luanda alla cerimonia di inaugurazione Campus di Damba

La fistula si potrebbe evitare migliorando i servizi ostetrici essenziali, ovvero i controlli durante la gravidanza. Di questi molte donne africane quasi non ne fanno durante i nove mesi di gestazione. Secondo i dati dell’OMS, sono 2 milioni le donne giovani che vivono in Africa e Asia con fistula vaginale provocata da problemi ostetrici con una incidenza che va dai 50 ai 100 mila nuovi casi l’anno. Cifre che certamente sono indicate per difetto a causa della tendenza delle pazienti a essere stigmatizzate e isolate. Sempre secondo i dati dell’OMS in Angola, dove la popolazione stimata è di circa 14,5 milioni di persone, si ha un’incidenza che va da circa 667 a 6670 nuovi casi l’anno. Si stima che negli ultimi anni siano stati 14.500 le pazienti in Angola, il che equivale a dire che una donna su mille in Angola vive con il problema della fistula.
Per guarire è necessaria un’operazione chirurgica piuttosto complessa e non tutti in Africa sono in grado di affrontarla. Diventa così fondamentale non solo inviare quante più equipe mediche possibili in Africa nell’ambito di progetti di cooperazione fra Paesi o enti e praticare le operazioni, ma anche portare il know how, insegnare le tecniche e formare personale locale.
Molto sta facendo in questo senso in Angola l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di pianificazione familiare, l’Unfa, con l’aiuto del Cuamm, una ong italiana presente in Angola da molti anni che qui si occupa di cooperazione in ambito sanitario.
E’ parlando con la direttrice del Cuamm a Luanda, Natalia Conestà, che ho saputo dell’esistenza di un ospedale a Damba dove grazie ai fondi dell’Unfpa, un chirurgo italiano, Paolo Parimbelli e una infermiera specializzata di nome Armida, lei ci tiene a specificare che ha anche una laurea in psicopedagogia, si occupano di fistula ostetrica. Lui opera le pazienti, lei lavora come assistente e fa formazione, nell’Istuto Medio de Saude di Huige da cui escono infermieri specializzati. Incontro a Luanda, solo di passaggio dopo un mese di affiancamento nel campus di Damba, Michael Breen, chirurgo inglese specializzato in fistula ostertica. Ha appena percorso i circa 600 chilometri che dividono Huige da Luanda, quando arriva ha l’aria stravolta. Si accomoda sul divano e subito è attratto dalle notizie della BBC come qualcuno che è stato troppo preso da qualcosa per potersi accorgere che intanto il mondo andava avanti.
Un tè caldo con latte e lo costringo a raccontare. Ha passato l’ultimo mese a operare donne con fistula ostetrica. Dodici ore al giorno per trenta giorni.  Ha operato circa 70 donne, più di quante se ne operano in un anno nella stessa struttura. Ora è in partenza per un altro Paese africano, per un’altra avventura in qualche ospedale di frontiera. Alle spalle lascia 70 donne che ora “riescono a dormire bene” per la prima volta dopo anni, è questa la prima cosa che dicono al dottore quando tornano a ringraziarlo per il servizio reso. “Operare la fistula – mi spiega Breen - significa dare la possibilità a quelle donne di reintegrarsi nella società”. Così per 70 donne nella regione di Huige da oggi non sarà più necessario sedersi all'ultimo banco della Chiesa durante la Messa o temere, tornando a casa, di trovare un'altra donna a fare da moglie al proprio marito.

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