giovedì 3 maggio 2012

VIAGGIARE IN ANGOLA: da Luanda a Malanje fra parchi, cascate, carri armati e gente da raccontare



L’Angola non è Luanda e Luanda non racconta gli angolani. Un po’ come New York non è l’America e Milano non è l’Italia. Occorre addentrarsi nel territorio, andare incontro alla “provincia” per capire la vera natura di un Paese e le caratteristiche dominanti della sua gente. Questa convinzione ci ha spinti verso il Malanje, una regione verde, fatta di fiumi e altopiani, che si trova nel cuore dell’Angola.  


Come per gran parte di questo paese, anche il Malanje, un tempo terra ricca e grassa di agricoltura, ha sofferto prima per la repressione coloniale e poi per la lunga guerra civile. I segni di queste sofferenze sono ancora ben visibili lungo le strade, costellate di vecchi carri armati abbandonati e poi nella savana, vicino ai ponti, lungo i fiumi, dove sono innumerevoli gli alberi recanti i segni rossi che avvisano i passanti del pericolo di mine.


Anche i tanti cimiteri disseminati nella zona raccontano con le loro lapidi in pietra di massacri commessi da questa e quella fazione. Non passa inosservato quello di Zenza do Itombe, appena fuori Dondo, a pochi metri dalla ferrovia, dove le lapidi dei 500 morti, che spuntano fra gli imbondeiro, raccontano di uno scempio avvenuto nell’agosto del 2001.  


Allora una mina anticarro fece deragliare un treno che si dice portasse armi e carburante, e la gente del posto racconta come i ribelli dell’Unita sparassero ai sopravvissuti che fuggivano dalle fiamme. La guerra non si cancella con un colpo di spugna, ma qui, fra i cespugli che ricoprono i cannoni, la vita sta ricominciando.


La gente per strada sorride, i bambini si fanno il bagno nei fiumi; le capre, i maiali, le galline, vivono fra le capanne di mattoni rossi e paglia in armonia con le donne che battono il miglio o manovrano leve per tirarer l’acqua dai pozzi e le scuole sono nelle cappelle, dove insieme alla croce, spesso, c’è anche la lavagna nera e qualche pezzo di gesso. 


Mentre ci allontaniamo dalla capitale la cosa che più impressione è la quantità di cartelli scritti in cinese. Indicano la presenza di cantieri aperti da aziende del Dragone, che qui è il primo partner commerciale  del Paese. Andando verso il cuore del Malanje incontriamo Catete, piccolo municipio senza importanza se non fosse che è la città natale di Agostinho Neto, primo presidente dell’Angola. 


Questa nascita eccellente è commemorata da una statua che ritrae la testa del presidente, nel mezzo di una piazzetta scialba. Catete sorge nella provincia di Bengo, una regione molto verde, dal clima tropicale, dove si produce la maggior parte della frutta che arriva a Luanda. Poco fuori Catete incontriamo un villaggio di casette portoghesi, le finestre hanno ancora le persiane in legno con un cuore intagliato al centro per permettere alla luce di entrare.




Mano a mano che ci inoltriamo nel verde lussureggiante della provincia incontriamo per strada ragazzini che vendono il frutto della loro caccia. Infilzati su paletti di legno espongono ai passanti piccole lepri e altri mammiferi di zona. Quando mancano 200 chilometri alla capitale della regione, Malanje city, la natura appare rigogliosa e gli alberi cominciano ad avere fusti altissimi e alte formazioni di roccia nera si levano dalla verde boscaglia punteggiata di piccoli banani.


Questo è esattamente il punto in cui la strada inizia a salire verso l’altopiano. Il Malanje raggiunge quota 1500 metri, mentre Malnaje city è a 800 metri s.l.m. Qui, finalmente e per la prima volta da quando siamo in Angola, cominciamo a vedere stupende farfalle multicolore. Uno scoiattolo o qualcosa di simile, ci attraversa la strada.


D’un tratto, a Bilintade, un piccolissimo agglomerato di case di paglia, un tank da guerra col suo lungo cannone ci spinge a fermarci. Quel carro armato è li dal 1981 ci racconta Luciana, una donna del posto che ci offre anche del dende appena bollito, una specie di dattero della palma con cui si fa l’olio, quando ci fu una terribile battaglia  con molti morti.


Ma ora quel tank è fonte di vita. La gente si ferma a fotografarlo e Luciana si fa regalare qualche “gasosa” un pacchetto di biscotti, qualche spiccio, così la vita va avanti anche a Bilintade. In quasi tutti i villaggi che incontriamo sventola alta la bandiera dell’MPLA, il partito del governo, una stella gialla in campo rosso e nero. 


Tonga Tonga invece  ha una grande scuola per l’”ensigno primario” pur essendo un piccolo villaggio che si estende sui due lati della strada che porta a N’dalantano in direzione Malanje city. E’ qui che il capo del villaggio ci chiede un passaggio. Ha già l’alito che odora di alcol di prima mattina, la macchina è piena e lui rimane a piedi. Quando arriviamo a N’Dalatando è già primo pomeriggio. Il colpo d’occhio è meraviglioso. N’Dalatando assomiglia a un grande villaggio rurale, immerso nel verde e steso fra una coppia di colline.



N'Dalatando è tagliata in due dalle rotaie del treno utilizzate dai cittadini come via pedonale e il colpo d'occhio ricorda l'India.



Guardando a Sud, subito oltre un antico convento di suore, si apre una vallata rigogliosa che ospita l’Orto Botanico.


Fatichiamo a entrare perché la guardia ci chiede uno speciale permesso governativo che non abbiamo, ma poi, dopo un certo numero di salamelecchi e qualche “gasosa”, le porte si spalancano ed è un tripudio di fiori carnosi, farfalle, alte canne di bambù e alberi imponenti dalle radici scoperte e enormi.  


Ci inoltriamo a piedi nell’orto che più che un giardino assomiglia a una fitta boscaglia e incontriamo ragni, bruchi, millepiedi, insetti dalle dimensioni incredibili. Qui il tempo è fermo e la foresta canta con il suono legnoso delle canne di bambù che, mosse dal vento, sbattono l’un l’altra producendo un ritmo mistico. Lasciamo N’dalatando e ci dirigiamo verso Lucala dove il paesaggio cambia e incontriamo il primo vero posto di blocco da quando siamo partiti. La poliziotta è allegra e non ha voglia di chiderci i documenti, così si informa se il viaggio “tà boa”, va bene, e ci lascia andare senza i soliti controlli di rito che a Luanda sono quasi all’ordine del giorno. Qui incontriamo la prima carcassa di camion abbandonata sulla strada dopo un incidente.


Poi si apre un’ampia vallata tagliata in due da una fettuccia grigia che raggiunge l’orizzonte, è la strada che ci conduce a Malanje city. Ora le case non sono più fatte di terra e paglia ma di mattoni e lamiere. L’aria è frizzante, il cielo è terso, la notte c’è escursione termica, siamo a circa 800 metri s.l.m.
Sulla strada incontriamo Cacuso dove visitiamo la Igresia de Nossa Senhora de Fatima. Ai lati le case delle suore e quella dei preti.


Un gruppo di scout è seduto sotto i portici di una delle palazzine, dei bambini giocano sulle scale della casa dei preti. Alcune donne con gli abiti della domenica e secchi e scopettoni alla mano ci si avvicinano. Hanno appena finito di pulire la Chiesa. Nel giorno del Signore sono in tanti a entrarci e occorre ripulire.


A Cacuso si vive bene, ci dicono, qui non ci manca niente, insistono, l’aria è fresca, la natura è piacevole. Resto meravigliata dalla loro affabilità, dalla incredibile voglia di venirci incontro e parlarci che hanno. Non sono cose che la gente di Luanda ama fare.


Più avanti, poco prima di Malanje city, ci imbattiamo in un’altra Chiesa e in un agglomerato di case nel verde. Scopriamo di essere nell’oasi della Missione Evangelica di Quéssua. 


Intorno alla Chiesa sono evidenti i segni della battaglia. All’inizio della guerra civile qua si è combattuto aspramente, ribelli dell’Unita contro i governativi dell’MPLA. 


Morais, che è di qui e il nonno era il pastore della Igresia, ci racconta che qui la guerra non è mai finita, fino al 2002. Morais nella sua vita non è mai uscito dall’Angola ma ci svela lo stesso tutte le vite che ha vissuto. Combattente, agricoltore, venditore a Luanda (zungueiro), cacciatore di diamanti (garimpeiro), nella Provincia di Luanda Norte.


Ora si offre di farci da tramite in caso volessimo stabilire affari nella regione del Malanje, ma anche a Kuanza Norte o a Luanda. Finalmente siamo a Malanje city. E’ notte e non si vede nulla come solo in Africa può essere buia la notte. Al risveglio Malanje city ci meraviglia.


Apriamo le persiane dell’albergo art deco che domina tutta la vallata e quello che vediamo è cielo terso, colori intensi e nitidi, vita nelle strade attraversate da decine di motocicli di tutte le fogge.


Compriamo il pane e il suo profumo inonda la strada prima di dirigerci alle Cachoeiras de Kalandula sul fiume LucalaLa nostra guida le definisce come le seconde o terze più alte di tutta l’Africa.



Lo spettacolo che ci si apre davanti è imponente. Un muro d’acqua si riversa a fondo valle alzando schiuma e vaporizzando tutto quello che incontra.


Dall’alto lo scenario è splendido e le rocce su cui ci troviamo testimoniano la presenza di ammiratori delle Cachoeiras almeno sin dal 1922. Diamantino Trovisco, per fare un esempio, è passato il 19 giugno del 1966 e deve essersi così entusiasmato che ha lasciato il segno del suo passaggio inciso sulla roccia.


Prima di tornare a Malanje City ci allunghiamo fino al Parque Nacional da Cangandala. Una vera emozione fatta di alberi e sabbia rosa.


Ci troviamo nell’unica area in cui sopravvivono poche decine di Palanca Negra, una specie di antilope gigante e scura dalle lunga corna ricurve scoperta in questa zona nel 1963 e poi ritenuta estinta a causa della guerra che anche qui ha lasciato i suoi segni e carri armati e mine ne sono testimonianza.


Poco prima di addentrarci nel cuore del Parco incontriamo l’ultimo villaggio. Ci abita il capo del Parco e non ci lascia andare. Anche qui ci vuole una autorizzazione del Ministero dell’Ambiente.


Ne approfittiamo per visitare il villaggio e incontriamo bambini che giocano con il cerchio e il bastoncino, donne che lavorano il miglio, ragazze dai volti espressivi e intensi. I bambini vogliono rivedersi sullo schermo della macchina digitale e ridono alla vista della loro immagine.



Torniamo a Malanje city bagnati, infangati ma felici. E’ il primo maggio, la festa del lavoratore e qui, nel Malanje, si festeggia scendendo in strada con tutto quello che si ha e si mette in vendita su camicioni addobbati come meglio si può.


Alcune donne arrivano dalla campagna tenendo al guinzaglio caprette e maglialini, galline e pulcini da vendere in piazza. E’ tempo di allontanarsi e di dirigersi alla nostra ultima tappa, le geologicamente inspiegabili formazioni rocciose di Pungo Andongo, meglio conosciute come le Pedras Negras. 


La salita sul punto di osservazione di una delle formazioni è accompagnato dal suono di paioli che battono su coppe di legno e dalle preghiere isteriche di un gruppo di fedeli della Chiesa Universale.
Alzano le braccia al cielo e invocano preghiere per i loro padri, figli, fratelli sperando che dall'alto di quelle formazioni arrivino prima alle orecchie del Signore e forse non hanno tutti i torti. L'armonia regna sovrana dalle alture di Pungo Andongo.


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