giovedì 7 marzo 2013

Lo Sturm und Drang angolano



Dalla raiva, la rabbia, possono nascere cose buone”. A dirlo è  Muamby Wassaky uno stilista di moda, pittore, artista plastico angolano che fa parte di un movimento di giovani che a Luanda cercano attraverso l’arte di esprimere i loro sentimenti e le loro frustrazioni. Muamby somiglia a Bob Marley nei tempi d’oro. E’ alto e porta con stile i suoi capelli rasta, lunghi,  annodati dietro la nuca. Le sue creazioni nascono da un’opera di sperimentazione dove il gusto della tradizione, le stoffe africane e i nuovi tessuti si incontrano e si fondono dando vita a pezzi unici.


Muamby non ha un posto dove vendere, ma uno dove creare si e si chiama Elinga Teatro. Questo posto è una delle fucine più vibranti per giovani artisti con qualcosa da dire piano o a gran voce, ma sempre in modo creativo. Musica, danza, teatro, pittura, scultura trovano all’Elinga un punto di incontro. Inaspettatamente gestito da un consigliere del Presidente angolano, anch’egli artista, un drammaturgo, questo luogo pieno di fascino all’interno di un palazzo di epoca coloniale, si trova nel cuore della città, stretto fra i cantieri delle nuove costruzioni che la stanno  strangolando. 


La “raiva”, per essere tutti figli di una eterna guerra civile, per aver perso familiari o pezzi di corpo sopra le mine, per non avere scuole dove formarsi alla tecnica dell’arte, per non riuscire a mantenersi con il proprio lavoro, qui trova espressione sui muri, nei murales dove la protesta si fa leggere e si fa guardare, sul soffitto da cui pendono impiccati di cartone, dalle opere pittoriche e dalle maschere tradizionali rivisitate con pezzi arrugginiti di carri armati e ferraglia di guerra…


In questo ambiente ha trovato uno spazio creativo Muamby. Qui, nel suo atelier di fronte al mare taglia, cuce, dipinge e si fa conoscere.
La madre voleva che facesse l’agronomo e lo mandò a studiare a Cuba nel 1974. Quando tornò in Angola nel 1992 era tempo di guerra e nel momento in cui si trattò di fare esperienza sul terreno, “i campi erano pieni di mine” racconta lui stesso. 


Nel 1997, sempre inseguendo i sogni di sua madre e non ancora il suo, entra nel corpo forestale, ma subito si rende conto di non essere soddisfatto. Comincia a creare oggetti con le bucce del cocco. Nell’atelier c’è una borsetta di cocco fatta da lui 15 anni fa, non è in vendita, gli ricorda da dove ha iniziato. Comprava cocco e faceva sculture, busti, borse. Andava per strada e raccoglieva materiali buttati via. 


Nell’atelier è conservata una porta in vetro dell’Hotel Tropico, completamente ricoperta di pittura. “Demmo vita a una mostra chiamata “Porte aperte”. Era l’inizio di questa avventura creativa. Le sue opere si vendevano, così decise di lasciare del tutto l’agricoltura. Anche nel settore dell’arte però Muamby si accorge che è molto difficile. 


Ci sono artisti “ufficiali” conosciuti e sponsorizzati dal governo, fare breccia non è facile. E’ da lì che inizia a cucire, a fare qualcosa di diverso, a creare vestiti, forse ispirato dalla mamma, sarta, alla quale “ruba” la prima macchina da cucire. E’ il 2001 e lui è totalmente autodidatta.  Nel 2002 fa il primo defilèè di moda e nel 2003 presenta una sfilata a Moda Luanda. E’ un evento internazionale e vince il premio che lo fa conoscere. Non smette più di dedicarsi alla moda. Nel 2005 vince un altro premio e oggi è stato ingaggiato dalla TV privata Zimbo per creare i costumi di una miniserie sulla Rehina Nzinga, eroina angolana del 1600, che andrà in onda il prossimo anno. Lo abbiamo intervistato nel suo atelier, che da qui a poco si trasferirà negli studi televisivi della Zimbo.

La tua arte ti fa sentire libero?

Si, mi piace fare quello che faccio. Essere artista è essere libero, è sentire questa libertà di esprimersi.

Quali sono state le principali difficoltà incontrate per esprimere la tua arte.

Molte. Primo, non avere una formazione nel settore, non avere i materiali per confezionare i vestiti, non avere accessori. Altro problema è vendere i prodotti. Qui si trovano molti vestiti già fatti. I miei vestiti sono più cari. Non ho un luogo dove vendere, ho un posto dove cucire, ma non dove vendere. Le persone non hanno l’abitudine di comprare cose fatte su misura.

Nel Teatro Elinga i giovani artisti possono esprimere liberamente il loro dissenso, la loro rabbia?

I giovani hanno sempre qualcosa contro, il male è quando non possono esprime la loro rabbia. Per me l’Elinga è come un laboratorio dove tirare fuori quello che si ha dentro.
Qui c’è un gruppo organizzato di persone. Il direttore di questo spazio è il consigliere del Presidente per i discorsi. E’ un drammaturgo. Da una parte segue una via istituzionale, dall’altra usa questo luogo come uno spazio sociologico dove esprimere e far esprimere.
Io penso che ognuno abbia il suo modo di esprimersi, ma in molti non vogliono vedere, criticano solo, chiudono gli occhi di fronte a certe realtà. 


Gli artisti con la loro rabbia portano cose buone, la loro furia è una protesta, per esprimere quello che hanno dentro, perché le emozioni devono uscire. Le emozioni sono relative, possono essere buone o cattive ma dipende dal momento.
In Angola questo è un momento di cambiamento ma ancora c’è un “freno” alla libertà di espressione, ancora le cose non sono del tutto cambiate.
E’ un momento ancora difficile per chi vuole esprimersi. Una manifestazione espressiva molto forte non è accettata, i giovani non vogliono equilibrio, vogliono fare. Ma chi li vuole “equilibrare” deve capire che i giovani hanno bisogno di un sano equilibrio, altrimenti la rabbia esplode e non si veicola nel modo giusto.

Di cosa hanno bisogno i giovani angolani oggi?

I giovani devono passare attraverso una cura, una terapia. Siamo passati attraverso la colonizzazione, la guerra civile e ora sono solo dieci anni di pace. Come? Con una terapia che aiuti la mente. La terapia è come far passare la fame. Se non mangi ti senti debole. Un individuo che è debole nella mente resta debole anche nel corpo. E’ un momento in cui dovrebbero cominciare davvero a fare qualcosa per i giovani.

Se per un giorno potessi essere il Ministro della Cultura cosa faresti per aiutare i giovani attraverso l’arte?

Li aiuterei a prendere coscienza del malessere, direi alla gente di rendersi conto che c’è un male, che si sta male, che occorre vedere la realtà, che non si può nascondere tutto sotto un ombrello.
L’arte è qualcosa che è dappertutto, è un’espressione popolare, l’uomo è già un’opera d’arte, l’arte fa aprire la mente, fa delle proposte, ha la capacità di far ragionare. L’arte aiuta a comprendere il prossimo.


Muamby poi ci mostra un quadro che definisce come “la mia forma di esprimere la protesta per come Luanda sta cambiando”. Il quadro rappresenta un insieme di palazzi alti che non lasciano spazio al cielo e che danno “difficoltà di respirare” ai cittadini. Una città che sta perdendo la sua personalità per colpa di persone che non danno importanza all’arte, alla storia e alla cultura. Con questo quadro Muamby esprime la sua protesta, la sua raiva.

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